Perché non riesco a perdere peso? L'ottimismo è fondamentale per togliere i chili
I numerosi studi sull’efficacia delle diete mostrano che, a lungo termine, è raro che una dieta sortisca i risultati attesi. Chi di noi non conosce qualcuno che si lamenta del fallimento della dieta faticosamente seguita? Anzi, non di rado al termine della dieta, il peso supera quello di partenza. Questa esperienza del peso "a yo-yo" è diffusa e frustrante.
Chi “si mette a dieta” si pone repentinamente in una condizione restrittiva con l'obiettivo di una rapida perdita di peso, ponendo le premesse per un potenziale fallimento. Più la dieta è draconiana, più il corpo diventa il proprio nemico peggiore.
Perché il peso "a yo-yo"?
Quando il corpo è affamato, il nostro “adattamento darwiniano” per la sopravvivenza entra in gioco. Più riduciamo l’assunzione di cibo, più il metabolismo rallenta e aumenta l’appetito. Si finisce così col mangiare di più. La conseguenza più frequente è uno scoraggiamento che logora emotivamente. Mangiare diventa una compensazione "auto-lenitiva" invece di soddisfare la fame fisica ‘autentica’, per nutrirsi “quanto serve”.
Il mito della volontà
Per molte persone, la dieta ha una valenza punitiva che la rende difficile da sostenere. L’auto-privazione diventa noiosa e spiacevole. La punizione spesso genera un senso di diritto a qualche ricompensa. Questo porta ad auto-ingannarsi. Quante volte si sente esclamare qualcuno che è ‘a dieta’ una frase come questa: "Sono stato così bravo finora: almeno un dolcetto per lo merito!". Si sovrastima troppo la capacità della mente di governare il corpo.
Una strategia per la speranza
Vorrei suggerire una strategia per perdere peso che ha funzionato per una mia paziente. Era una donna obesa, ma comunque attraente, di 28 anni. Aveva sempre "fallito" nei suoi tentativi di perdere peso. Era venuta da me per capire come reagire ad una depressione crescente che non riusciva più a superare. La depressione era legata alla sua percezione corporea sempre più negativa, al punto da sentirsi ormai completamente scollegata dal suo corpo. Evitava il più possibile di guardarsi allo specchio, non voleva pesarsi più e si sentiva senza speranza. Sapeva che il suo peso stava aumentando perché aveva bisogno di sostituire i suoi vestiti con taglie sempre più grandi. Parlare del suo peso nelle nostre sedute le risultava molto difficile.
Prima di approfondire una condizione così dolorosa, serviva una strategia per "ridefinire" la dieta come un cammino verso la condizione di una donna diversa, piuttosto che una lotta considerata inutile già in partenza. La maggior parte delle diete sono passive, privative e mettono un po’ alla berlina il proprio stato davanti agli altri, che esclamano frasi come: “Ma non mangi niente?.. Come mai, hai qualche problema di salute?.. Stai male?...”. La risposta laconica è sempre: “Eh no, sono a dieta.”. Per la mia paziente, tutte le diete sono state umilianti tentativi senza successo. Come convincerla a cambiare il suo modo di “interpretare” una dieta?
Non sorprende che il suo peso fosse una profonda fonte di vergogna e di disperazione. Insieme abbiamo capito in che misura il desiderio impellente di abbuffarsi la stava attaccando. Gli “strati di grasso” erano una protezione contro la vicinanza degli altri (soprattutto degli uomini) e per la sua vulnerabilità emotiva. Era spaventata dall’alta probabilità di essere rifiutata e di deludere. Proiettava questa paura sugli altri come meccanismo di difesa preventivo, ovvero era lei che trovava puntualmente negli altri, soprattutto negli uomini che la attraevano, motivi di delusione che giustificavano il suo rifiuto di frequentarli, anche verso chi la corteggiava con insistenza.
Primo passo della strategia
Abbiamo analizzato le origini e la genesi della sua attuale percezione corporea. In passato, senza sforzo eccessivo, riusciva a mantenersi abbastanza magra. Lei possedeva già quella capacità che, però, si era persa nel tempo. Abbiamo iniziato a lavorare su come “recuperare” la sua capacità di auto-regolazione. Il peso portava con sé non solo i chili di troppo del suo corpo, ma rappresentava tutto il suo “stare al mondo”.
Verso la speranza
La mia paziente non aveva mai pensato di perdere peso come recupero di una capacità persa. Non si era mai messa a dieta con “ottimismo”, anzi ogni volta era piuttosto scettica sul successo dei suoi sforzi e sacrifici. Data la sua esperienza con le diete, possedeva già una conoscenza approfondita della nutrizione e delle calorie di ogni alimento. Come la maggior parte delle persone obese, sapeva esattamente come perdere peso, ma non era in grado di sostenere la sua motivazione. Spesso si sentiva scoraggiata e persino senza speranza. Abbiamo sviluppato un piano distribuito nel tempo, con dolcezza e sostenibilità, inizialmente non più di 1 chilo ogni due settimane.
Ogni chilo perso è stato concettualizzato come un dono a sé stessa, un “restauro”, un ritorno alla sua capacità intrinseca di autodisciplina. Ha gradualmente fissato "obiettivi di salute" per la settimana, per il mese e per l'anno.
Questa posizione incoraggiante è una strategia che ha funzionato. La mia paziente ha perso quasi 40 chili in poco più di un anno, potenziando la sua motivazione e approfondendo con me quali erano gli ostacoli per continuare. Ora è tornata “connessa al suo corpo”, sviluppando un senso di appetito e sazietà ben distinti, in seguito alle sue sensazioni corporee. In altre parole, ora comprende con chiarezza quando ha ‘fame di cibo’ e quando ‘ha fame di accettazione, di conferme e di amore’.
Per concludere con le parole della mia paziente: "Mi vergognavo, ma ogni mese in cui riuscivo a non mollare, mi sentivo fiera di me stessa.... Grazie di avermi accettato subito già così com’ero.”
Lorenzo Rizzieri - Psicologo e Psicoterapeuta
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